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.trust Italia 2023: le aziende italiane alla ricerca di un purpose

La fiducia si guadagna con i fatti e con una narrativa strategica coerente, solida e dai valori autentici: quali aziende si dimostrano credibili?

L’instabilità dello scenario in cui ci muoviamo, l’inflazione e le sfide tecnologiche come l’avvento dell’intelligenza artificiale spingono le aziende a definire in modo più chiaro il loro ruolo, non solo dal punto di vista del business, ma anche dell’impatto che hanno sulla società come portatrici di valori. Da questa riflessione deriva l’analisi di questa edizione 2023 della ricerca .trust, per capire soprattutto chi riesce a raccontare un purpose credibile.

Un contesto di incertezza richiede risposte certe

La ricerca .trust indaga l’esistenza di una narrativa strategica in grado di unire visione, impegni di sostenibilità, investimenti nel campo dell’innovazione, leadership sui temi chiave e capacità di attrarre e coinvolgere i talenti.  Partendo da un campione di 198 aziende, la ricerca – giunta alla terza edizione– ha selezionato e valutato 49 grandi realtà pubbliche e private italiane che hanno dimostrato negli anni un forte impegno nella trasparenza della loro comunicazione. 

Segnali incoraggianti

L’istantanea scattata da .trust mostra quanto le aziende del nostro Paese, complici le tendenze innescate dalla pandemia, abbiano compiuto buoni progressi nella definizione del proprio ruolo, anche se non tutte riescono ancora a fare del purpose una guida efficace.

I risultati generali sono positivi: la metà delle società considerate (24 su 49) fa, infatti, riferimento a un purpose, sebbene non sempre in termini espliciti. Un dato in crescita rispetto alla passata edizione.

Il purpose non è solo un claim

Attenzione, però: definire il purpose non è un semplice esercizio di stile. Si tratta, piuttosto, di un percorso che deve derivare dalla consapevolezza dell’identità aziendale ed essere introiettato nella strategia e nel lavoro di ogni giorno.

Anche se la strategia di business dovrebbe rappresentare il primo elemento in cui calare il purpose con coerenza e pragmatismo, solo il 27% del campione riesce a creare un collegamento davvero convincente tra i due elementi. In generale, le società mostrano di ricollegare più facilmente il purpose alla strategia di sostenibilità (37%) e più raramente agli investimenti nel campo dell’innovazione (24%).

A calare il purpose nella comunicazione rivolta a lavoratori e jobseekers è, invece, il 33% delle aziende considerate: un dato che conferma la necessità di promuovere un approccio più integrato e trasversale alla comunicazione del proprio ruolo all’interno dei canali digitali.

Una delle migliori aziende è Italgas, che insieme a Granarolo e Terna si è distinta nella valutazione di come il purpose viene comunicato in modo coerente e pervasivo.

I migliori comunicatori

Comunicare in modo efficace non significa solo supportare la propria narrazione attraverso i fatti (la Sostanza), ma anche farlo in modo coinvolgente (la Distintività). Applicando questi due elementi chiave, la ricerca identifica 4 diverse modalità di comunicazione: la categoria a cui aspirare è denominata “Narrators”.

Molte più aziende (dal 46% nel 2020 al 55% di quest’anno) sono rientrate in questa categoria, che include le società che riescono a bilanciare la sostanza della presentazione di identità e strategia con una narrazione coinvolgente, in grado di sfruttare al meglio i diversi canali digitali.  Tra di loro, 6 sono le aziende che si sono distinte come migliori comunicatori (Gold): A2A, Acea, Eni, Generali, Poste Italiane e Terna. Tra i Silver rientrano il Gruppo Hera e Intesa Sanpaolo, mentre tra i Bronze Banca Ifis, Enel, Italgas, Leonardo e Webuild

Stabile il numero dei Traditionalists (18%), che comprende le aziende che mancano di una chiara presentazione della propria identità e di visione proiettata al futuro, così come quello dei Glitterati (12%), che si concentrano su una comunicazione più di impatto che di sostanza. Infine, diminuiscono significativamente gli Explainers (da 26% a 14%), che hanno un’identità ben definita, ma che mancano di una comunicazione coinvolgente.

Da notare che le non quotate abbiano dimostrato di reggere il confronto con le “sorelle” presenti a Piazza Affari: in particolare, Ferrovie dello Stato Italiane ottiene la migliore posizione, seguita da Mundys (ex Atlantia), Granarolo e CDP (tutte Narrators), e SACE tra gli Explainers.

Novità: un campione allargato e criteri più stringenti

Tra le novità di quest’anno, rientra, infatti, l’allargamento del campione alle società non quotate, perché ogni azienda, indipendentemente dall’assetto azionario, è posta di fronte alle crescenti richieste dei consumatori, dei dipendenti e, più in generale, del pubblico.  Anche le modalità di valutazione sono state riviste, rendendo i criteri ancora più sfidanti soprattutto per quanto riguarda la presentazione del purpose e delle tematiche chiave, come climate change, DE&I e innovazione. È stata, inoltre, posta maggiore attenzione rispetto alla presentazione dei contenuti e alla capacità di sviluppare una narrazione trasversale e coinvolgente. 

Concretezza e temi chiave

Essere in grado di innovare il proprio business, attrarre e trattenere i talenti, rispondere alle sfide del cambiamento climatico e riuscire a mantenere una crescita sostenibile nel tempo: è anche sul terreno delle grandi sfide di business che l’edizione .trust di quest’anno ha messo le aziende alla prova della fiducia.

Se la quasi la totalità del campione definisce un impegno in materia di sostenibilità, solo il 45% presenta un approccio strategico concreto e credibile, supportato da una chiara definizione dei temi chiave, degli obiettivi e dei risultati, mentre, parlando nello specifico di climate change, sono ancora meno (35%) le aziende che presentano obiettivi misurabili e azioni strategiche intraprese.

L’innovazione rimane, invece, in molti casi legata all’approccio R&D, senza che si riesca a coglierla come opportunità di trasformazione culturale e organizzativa del business. Se, infatti, il 73% delle aziende mostra di approfondire il tema, solo il 55% riesce a ricollegare esplicitamente il proprio impegno alla strategia di business. Un dato che tende ad abbassarsi se consideriamo la capacità di offrire una narrazione più ampia e distintiva: a presentare articoli stilati ad hoc o case studies collegati al racconto dell’innovazione è, infatti, appena il 46% delle società esaminate. I buoni esempi, tuttavia, non mancano: è il caso di Eni, che fa della tecnologia la propria caratteristica distintiva, ma anche di Hera ed ENAV.

La pandemia ha, infine, ribadito con forza la centralità delle persone, impazienti di darsi nuovi obiettivi e di trovare un purpose e dei valori aziendali capaci di ispirare stabilità e fiducia nel domani: eppure, al di là di casi virtuosi come ERG, Banca Ifis, Acea ed FS Italiane, sembra che la comunicazione aziendale abbia tenuto solo in parte il passo della trasformazione delle aspettative di lavoratori e jobseekers. Solo il 27% del campione descrive, infatti, con efficacia cosa significhi essere parte dell’azienda, mentre un tema fondamentale come quello della DE&I è ancora affrontato con un approccio superficiale e poco trasversale, con appena l’8% che riesce a supportare il racconto del proprio impegno con performance e obiettivi specifici.

Su L’Economia del Corriere della Sera di oggi trovate un articolo dedicato proprio ai risultati di questa edizione.

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Francesca Bellizzi
Project manager .trust

“Definire il proprio ruolo non è un esercizio di stile. Deve essere il punto d’arrivo di un processo più ampio, integrato nella strategia e nell’operatività quotidiana. Perché il purpose è il collante che lega il business e i valori aziendali all’impatto concreto che si ha sulla società.”

Joakim Lundquist
CEO Lundquist